Petizione di Gioventù per i Diritti Umani

venerdì 13 luglio 2007

Bambini psichiatrizzati

Ciao!
E' da un pò che non scrivo! Perdono!!! ^_^
Vi riporto un articolo su ecPlanet (quotidiano tecnologico e scientifico) per darvi un'idea della realtà di un "semplice" reparto dove si trovano bambini, ragazzini in un stato alienante...SPERO VI FACCIA APRIRE GLI OCCHI SULLA REALTA' PSICHIATRICA...

Reportage Violenti. Distruttivi. Fuori controllo. Arrivano qui e per qualche giorno vengono sedati con qualunque mezzo.

Siamo entrati nel Madison 6, il reparto shock del Mount Sinai di New York, dove i pazienti più piccoli hanno solo cinque anni Il reparto di Psichiatria pediatrica dell'ospedale Mount Sinai, New York, ha un nome in codice, “Madison 6” (occupa il sesto piano di un edificio sulla Madison Avenue di Manhattan). È solo uno dei molti codici in uso a questo piano: “frequent flyers” sono i pazienti recidivi, quelli che tornano spesso a “volare” in corsia. “Time out” è il periodo di confino in stanza o negli “open quiet space” (salottini dove non si parla), riservato ai pazienti in crisi aggressiva. Un gergo che può suonare cinico: in realtà riflette la passione, molto americana, per la sintesi linguistica e, soprattutto, la necessità di arginare il coinvolgimento emotivo. Non è facile: i pazienti qui hanno dai 5 ai 18 anni. Su una delle porte a combinazione elettronica c'è un disegno di Frankenstein (non è macabro umorismo, l'ha fatto uno dei pazienti per Halloween) e un avviso che mette in guardia contro il pericolo di fuga. Questo è un reparto a breve-media degenza, una sorta di prima linea di intervento: i pazienti rimangono per 2-3 settimane e vengono stabilizzati. Un servizio che negli Usa viene richiesto sempre più spesso, tanto che alcuni si chiedono se proprio tutti i casi che arrivano in reparti come questo siano da ricovero. “Abbiamo 23 letti e trattiamo casi di schizofrenia, disturbo bipolare, disturbo da deficit di attenzione e iperattività”, spiega lo psichiatra Zvi Weisstuch, Clinical instructor e Associate director del reparto.
La maggior parte è ispanica o afroamericana (“il nostro bacino di utenza sono famiglie di ceto medio-basso, figli di genitori single, ragazzi in affido”).
Alcuni sono vittime di abuso. Sovente mostrano tendenze suicide. Weisstuch riferisce uno scambio di battute recente: uno dei piccoli fantasticava di buttarsi dalla finestra. “Cosa succederebbe se lo facessi ?”, gli ha chiesto Weisstuch. “Mi schianterei al suolo (il piccolo usa il termine splatter, spappolarsi, ndr) e andrei in Paradiso”. “E dopo il Paradiso ?”. “Oh, rinascerei”. “È chiaro che il concetto di morte per i piccoli è qualcosa di astratto”, dice lo psichiatra. “Le tendenze autodistruttive ci preoccupano di più nei teenager”. È per questo che, nelle stanze, poster e disegni sono ammessi, ma non le cornici. “È successo che le usassero per tagliarsi”. Ogni tanto un paziente picchia la testa contro il muro, e distribuisce morsi e calci al personale sanitario. “Allora scatta la procedura di de-escalation: prima cerchiamo di calmarli a voce; poi, imponiamo il time out; il passo successivo è la sedazione farmacologica; nei casi estremi, l'immobilizzazione con cinghie di contenimento, solitamente in barella”. Quest'ultima manovra viene considerata di emergenza e, come tale, non necessita del permesso del custode legale, ma deve essere autorizzata da un medico e può durare solo per un numero limitato di ore, sotto costante monitoraggio. Oggi, per fortuna, c'è quiete nei corridoi e dietro le porte chiuse. Le stanze sono singole (per i piccoli che hanno subito violenza sessuale e tutti i teenager) o doppie, con pareti in tinte spente, come del resto tutto l'ospedale. Nei corridoi, disegni colorati, tavolini bassi e il ronzio dei monitor della postazione-infermiere.
Un bambino siede da solo, assorto, in jeans e maglietta: solo chi è a rischio di fuga indossa il pigiamino ospedaliero. “Possono stare in gruppo, purché sotto sorveglianza; ai pasti, ricevono le visite dei familiari; possono telefonare a casa. Chi si comporta bene riceve un bonus, come un'estensione dei privilegi telefonici o il permesso di andare ai distributori di caramelle del piano di sotto”. Insomma, il problema sembra essere non tanto come vengono trattati i ragazzi del Madison 6, quanto come ci arrivano.
Nel censimento Mental health Usa 2002 del Samhsa (Substance abuse and mental health services administration), si legge che, nel 1997, il numero dei minori di 18 anni trattati come outpatient, pazienti esterni, era superiore a quello degli inpatient, pazienti trattati in regime ospedaliero o in strutture residenziali con personale qualificato (963 mila contro 286 mila). Gli inpatient, tuttavia, erano aumentati più velocemente degli outpatient: +142,7% contro +64,6%, dal 1986 al 1997. Tra gli inpatient, inoltre, erano molto diffusi casi di comportamento aggressivo e delinquenziale. Weisstuch racconta che, al suo reparto, arrivano casi di disturbo “di condotta” e “opposizionale”. “Per esempio, il bambino che tira una sedia all'insegnante, l'adolescente che attacca un agente della sicurezza”.
Ma è necessario ricoverarli ? “Ne parlavo con un collega proprio l'altro giorno. Riflettevamo che ormai ce li portano per ogni piccola cosa”. Dice lo psicologo Raymond Crowel, vicepresidente del Mental health and substance abuse services della National mental health association: “Non tutti i violenti e gli aggressivi che arrivano al Sinai finiscono con una diagnosi di patologia. Detto questo, è vero che negli ultimi 5-10 anni il numero dei ragazzini raccolto dai Mental health services americani è molto aumentato, comprendendo casi che un tempo non sarebbero stati rilevati”.
I motivi di questo eccesso di ospedalizzazione, per Crowel e Weisstuch, sono soprattutto tre. “Intanto, il potenziamento dello screening (nell'estate 2004 Bush ha cominciato a implementare un discusso piano sanitario che, tra l'altro, raccomanda lo screening psicologico dei giovani in età prescolare e scolare, ndr): da una parte permette di accorgersi in anticipo se qualcosa non va, dall'altra rischia di... strafare”, dice Crowel. Pesano anche fattori sociologici. “Siamo un popolo traumatizzato da episodi come il massacro del liceo di Columbine: abbiamo tolleranza zero per prepotenti, disobbedienti e reattivi. Gli studenti che alzano la cresta vengono sospesi o espulsi per nulla, anche perché gli insegnanti hanno le mani legate: nessuno si sognerebbe di dare un ceffone a uno scolaro”. Weisstuch e Crowel citano, poi, fattori economici, “amministrazioni ospedaliere che puntano a riempire i letti e assicurazioni che rimborsano malvolentieri degenze troppo lunghe”. Così si balla a un ritmo frenetico, tanti pazienti con un ricambio veloce. Riflette Crowel: “L'ideale per molti ragazzi non è il reparto. Meglio il trattamento in regimi flessibili, con terapia farmacologica e comportamentale, da seguire tra casa e strutture residenziali dedicate; peccato che per queste iniziative manchino i fondi”. Esiste anche un problema sociale: secondo il censimento del Samhsa, neri e ispanici sono le categorie in cui l'ospedalizzazione è cresciuta più in fretta. “Molti dei nostri bambini sono qui proprio perché, a casa, nessuno se ne voleva o poteva occupare”, dice Weisstuch. “Dobbiamo stupirci se, alla dimissione, molti custodi legali non sono in grado di portare avanti la nostra opera di recupero? Trattare con i genitori è quasi sempre un problema. I pazienti, invece, sono divertenti, svegli e innocenti. I pazienti sono fantastici”.